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facevo. Anche adesso stai silenzioso, all’ombra del lentischio, ed io son qui... io son qui... son qui, sì... ohiò!...
Gli veniva voglia di gridare: gli sembrava di sentire ancora la voce del suo fratellino dietro il sovero... Ricordava che Andrea, allora, era ben vestito, di panno, con le scarpe alte a ganci dorati. Come aveva invidiato quelle scarpe! A pensarci bene, egli l’aveva sempre un poco invidiato, suo fratello, che aveva avuto la fortuna di nascere primo... e in fondo, bene in fondo all’anima, aveva desiderato spesso di togliergli qualche cosa. Una volta s’erano scalzati per entrare nell’acqua del torrente, e avevano lasciato le scarpe fra i giunchi: egli aveva desiderato, sì, di nascondere le scarpe di Andrea, ma in modo astuto, in modo da non essere scoperto. Gli avrebbe poi magari offerto le sue, per tornare a casa... E così gli aveva rubato la donna e adesso piangeva su lui!
Ma a poco a poco, vedendo che lassù le ombre restavano immobili, come se tutti dormissero, si calmò di nuovo. Era stanco. Piegò le braccia, vi abbandonò sopra la testa e si addormentò. Sogni confusi agitarono il suo sonno; gli sembrava di essere dietro la siepe, con Vittoria, e un rumore strano di buoi che correvano ansando risuonava dietro il campo: Vittoria aveva paura e mormorava:
— È l’anima di Andrea...
Ed egli rideva, ma aveva paura anche lui.
Il rumore misterioso mutò, divenne un trottar di cavalli su per un sentiero pietroso.