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mio, cosa ti hanno fatto? Ti hanno ucciso come un agnellino di tre giorni, figlio mio, figlio caro...

Invano Mikali tentò di richiamarla in sè; ella sollevò gli occhi con le pupille dilatate e parve non riconoscerlo, poi riprese la sua nenia funebre; ed egli si appoggiò al muro, con la testa bassa, calmo, sì, come si conviene a un uomo forte, ma pallidissimo in viso.

Le donne dello stazzo, pure badando che zia Marianna non si movesse, avevano ripreso le loro faccende: una spazzava le bucce delle fave davanti alla porta, e dalla cucina usciva l’odore delle vivande. Sopra la siepe, sul cielo rosso del tramonto le rondini passavano stridendo d’amore. Ah, come si sentiva che quei due, madre e figlio, erano stranieri in quella casa: la pace stessa del luogo e dell’ora contrastava col loro dolore.

Solamente l’orfana, Maria Battista, sporse il viso pallido da una finestruola e i suoi occhi mandarono su Mikali uno sguardo di amore e di pietà benigno come un raggio di luna: sembrava la figlia del Re prigioniera che gittava le lunghe trecce d’oro per far salire fino a lei il giovine amante; sì, così ella avrebbe voluto attirare su Mikali, con la scala luminosa del suo amore, e chiuderlo nella prigione del suo cuore: ma egli non la vedeva neppure.

La nenia della madre cominciò ad irritarlo; sporse in avanti i pugni come per rimuovere un ostacolo e ripetè a sè stesso che bisognava essere forte. E per essere forte fuggì via di nuovo.