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per fissare lo sfondo azzurro della finestra di fronte. Alcuni libercoli attirarono la sua attenzione: erano vite di Santi, i Fioretti, le Poesie del Leopardi.

Prese in mano il libercolo giallognolo, rilesse alcuni versi del Sogno: poi lo ripose e s’appoggiò al muro come vinto da un malessere fisico. E scoppiò a piangere; ed erano gemiti striduli, e un singhiozzare femineo, un piovere di lagrime fino al pavimento.

Di là il frate accendeva il fuoco brontolando: mise il trepiede, in modo che la fiamma ne venisse bene attorniata e andò ad attingere l’acqua col secchio di legno largo e pesante come una tinozza. Andrea lo vide ritornare tutto curvo dal lato della secchia piena, con l’acqua che gli bagnava i sandali fangosi; e uscì nell’orto, per non essere sorpreso a piangere. Ma l’orto gli ricordava troppo l’angolo laggiù sotto il susino fiorito, la figura di Vittoria come gli era apparsa l’ultima volta sotto i veli dell’inganno; e fuggì nel bosco, fra le roccie che parevano cumuli di rovine. Fra i tronchi neri delle quercie ondulavano i profili azzurri dei monti lontani, nuvolette bianche si posavano come colombi sulle cime degli alberi; e dei colombi selvatici si udiva infatti il tubare.

Tutto il paesaggio era biblico e tragico assieme. Egli camminava come smarrito, credendo di sfuggire al suo dolore: ma questo gli stava dentro, sempre più fermo. Ed ecco da una radura l’orizzonte spalancarsi e dal mare argenteo sorgere la piramide rosea di Tavolara e più