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così fluidi che al fraticello pareva bastasse varcare la muriccia per trovarsi in un giardino di rose e di ciliegi fioriti, con tante fontane in mezzo agli asfodeli.

Dio sia lodato, com’è bella la vita! Ma il ricordo della missione affidatagli da Vittoria di tanto in tanto lo pungeva più che le spine dei cardi; ed ecco, sollevando il viso per ascoltare meglio il canto dell’usignolo, vide tra il verde lontano la giacca turchina e la cravatta rossa di Andrea Zanche.

— Eccoci! — disse alla sua piccola zappa, ficcandola al suolo; e si sbattè la terra dalle mani.

— Come sta tuo padre? — domandò andandogli incontro.

— Meglio. S’è alzato. Quanti usignuoli! — disse Andrea sollevando la testa; ma subito la reclinò pallido e stanco, e andò dritto verso il convento. Di questo, che era stato un modesto edificio dell’epoca pisana, non rimaneva intatto che un angolo con tre finestre sopra il versante a picco della montagna: il resto era un cumulo di pietre e di legnami corrosi, ricoperto d’edera e di cespugli: i sassi e il fango messi su dagli uomini in quella solitudine erano tornati allo stato naturale, formando un rialzo ricoperto di vegetazione. Anche nel vasto cortile interno recinto da una muriccia a secco l’erba e i ranuncoli crescevano folti come in un prato, e solo qua e là gli avanzi dell’antico lastricato segnavano qualche isoletta grigia fra tutto quel verde.