Pagina:Deledda - La vigna sul mare, 1930.djvu/96


— 90 —

ni felici, pieni di grandi illusioni, quando era vivo il babbo. Si stava tutti assieme, uniti in uno stesso sogno: io e la mamma si lavorava con una grande forza in cuore. Volevamo che il babbo riuscisse nel suo intento, e lo circondavamo di ogni cura, di ogni affetto. Ed egli tentava ogni sforzo per noi, per me specialmente. La felicità era quella, di sperare, di lavorare gli uni per gli altri, di volersi bene».

— La felicità era quella...

E perché questo sogno non poteva rinnovarsi?

Ma a misura che costeggiava la schiena del monte, e si riavvicinava alla miniera, le cose prendevano di nuovo un aspetto diverso. Il sole cadeva sopra le cime, e le ombre di queste si allungavano metalliche e tristi: parevano nuvole pietrificate. La melanconia delle interminabili giornate di primavera sembrava ancor più densa lassù: la casa, le cave, i mucchi di scarico, apparivano con tutta la loro desolazione di abbandono e di rovina: e gli urli del cane, ripercossi di pietra in pietra come da una torma di lupi incatenati, diedero un colore nemico alle impressioni dell’ingegnere. Più che mai l’impresa gli parve difficilissima: o, peggio, egli sentì una improvvisa impotenza davanti al rischio e alle fatiche da superare: occorrevano molti capitali, che egli non aveva, o qualche socio più forte di lui.

— Ma sposando la signorina Gilsi, il miglior socio sarebbe lei.