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smorfiose cerimonie; non le capiva, sebbene oramai ci fosse abituata, e la prima ad esigerle fosse appunto lei.
Entrò, silenziosa come un fantasma, una grande vecchia tutta nera, tranne il viso bianchissimo: anche le labbra erano senza colore, e quando le socchiuse, dopo aver baciato in fronte la nipote, apparve il candore dei denti falsi.
— Come va?
— Benissimo, nonnina: mettiti a sedere.
La vecchia sedette, quasi alle spalle della principessa, che non smise il suo lavoro, continuandolo anzi come una faccenda urgente, e la guardò fisso, scuotendo la testa. La maschera marmorea del suo viso grande e rugoso si fece tragica: gli occhi si tinsero di una luce azzurra; luce, però, di tristezza e di pietà.
Così, di scorcio, vedeva il collo lungo e infantile della nipote, tale quale era dieci anni prima, nel tempo dell’adolescenza; ed egualmente bianco e puro: gli stessi capelli corti, a onde nere e dorate, la guancia che ricordava un frutto più bello del pomo quando comincia ad arrossare.
Tutta la figura agile, ancora un po’ acerba, sembrava quella di un paggio: e la nonna avrebbe certo preferito vederla muoversi, giù nei viali del parco, a giocare, a rincorrere un cane, magari a tirare una freccia; tutto, fuorchè così, piegata a combinare quei fiori morti, di cattivo gusto.