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— Mi sembrano tutti mezzo matti — pensò l’ingegnere, nonostante la preghiera di lei di non «giudicarli male». Eppure qualche cosa l’attraeva, in quella gente che trattava gli affari in quel modo, e che invece di sfruttare il proprio capitale e goderselo, faceva una vita stentata.

Stentata fino a un certo punto, perché la signorina Gilsi, dopo altri discorsi intorno alla miniera, ma che nulla concludevano, lo invitò amichevolmente a «prendere un boccone» da loro, e in pochi minuti gli preparò un ottimo pranzo.

Apparecchiata la tavola nella saletta, ella vi depose un vassoio con larghe fette di prosciutto, rosse come carne viva, e mezzo capretto arrosto che la madre aveva fatto cuocere al forno. Il pane fresco non mancava di certo, e neppure il formaggio e il vino.

— Il nostro vino non è buono, — ella disse, cacciando con forza il cavatappi in una bottiglia polverosa. — È vecchio, sì: l’aveva fatto venir su il povero babbo: ma, come in tutte le altre cose, lo avevano imbrogliato, povero babbo.

— Anche lui, — pensò l’ingegnere; e guardò meglio la ragazza.

Non era veramente bella, bruna di pelle e col naso camuso, naso di razza, come quello del nonno e della madre; ma aveva una forza e una robusta agilità di amazzone. Ella sentì lo sguardo