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in una specie di salotto sulla cui parete di fondo una grande aquila imbalsamata, severa e triste, dava l’idea di un eroe crocifisso. La signora Gilsi era di nuovo sparita: ma un momento dopo apparve una ragazza alta e forte, coi capelli scuri corti, e gli occhi così luminosi che da prima non se ne distingueva il colore: ed era anche elegante, col suo vestito nero che le sveltiva le forme piuttosto piene. La sua presenza riconfortò l’ingegnere. — Ecco con chi bisogna trattare — egli pensò, mentre la ragazza gli diceva con fredda cordialità:

— Si accomodi, io sono la signorina Gilsi.

Egli sedette sul vecchio sofà vigilato dall’aquila, e parlò subito dell’affare.

— Piacere. Lei, signorina, ha già indovinato lo scopo della mia visita. Si vorrebbe, io e qualche mio socio, acquistare le cave (apposta non disse la miniera) appartenute a suo padre. Sono qui per trattare.

Ella si era seduta, composta e quasi rigida, su una delle due scranne che fiancheggiavano il sofà: e fissava il viso dell’ingegnere, ma senza vederlo; ascoltando solo le parole di lui. Domandò, grave e attenta come un uomo:

— Lei conosce già la miniera?

— Sì, vengo appunto di là. Ma il guardiano non ha voluto darmi spiegazioni.

Allora ella, involontariamente, rise: tutti i suoi forti denti scintillarono, ma c’era una vibra-