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mentre il cavallo abbassava la testa con la voglia di dissetarsi a quell’erba più fresca dell’acqua, egli osservava che dalle ultime cime dell’albero pendevano numerosi orecchini di corallo: erano ciliegie.


Facile gli fu poi trovare la casa delle signore Gilsi: era proprio dietro la chiesa, separata dall’abside di questa solo da una stradetta lastricata che pareva un cortile. Bassa, nera, come tutte le altre, aveva tuttavia qualche cosa che dalle altre la distingueva: il portoncino a due battenti, con le borchie di ottone, le finestre nel cui vano tremolavano le tendine di mussolo ricamate a mano. In fondo, a destra, da una porticina aperta, usciva un caldo odore di pane al forno: e fu da questa porticina, che al picchiare del forestiero alla porta grande, sbucò una donna grassa, mora, con le mani bianche di farina.

— Abita qui la signora Gilsi?

— Sono io, — ella rispose, abbassando la grossa testa avvolta in un fazzoletto nero: pareva si vergognasse di possedere quel nome gentile; ma subito capì lo scopo della visita dello straniero e i suoi occhi diffidenti si animarono.

— Si accomodi di là, — disse, indicando la porta con le borchie, — adesso vengo ad aprire.

Sparì nell’interno della casetta, riapparve subito dopo sul portoncino e fece entrare l’uomo