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più l’aria si affinava e il cielo e le lontananze si facevano trasparenti: e il mare, come in certi viaggi fatti in sogno, appariva or vicino ora lontano: a una svolta del sentiero il viaggiatore lo vide sotto di sé, ai piedi della roccia a picco, come dall’alto di un’immensa torre. Poi tutto fu pietra, pulita dalla recente pioggia: pietra schistosa, le cui mille e mille scintille fra il nero e l’argento attiravano come piccole pupille lo sguardo dell’ingegnere.

Adesso egli pensava con lucidità all’affare da concludersi, e si guardava attorno non più con sentimento, ma con calcolo. Sì, la qualità della pietra rivelava il minerale buono; l’argento era da per tutto, sebbene non ne trapelasse che un lontano, inafferrabile sfolgorìo. E forse la gente, lassù, nella miniera abbandonata, era ancóra grezza, ancóra da sfruttarsi con vantaggio: l’affare, dunque, si presentava bene.

Ma sollevando di nuovo gli occhi, per misurare il sentiero che gli rimaneva da fare, egli si sentì ancóra attirato dall’incantesimo di quel cielo, adesso limpidissimo, quasi verde per il contrasto con le cime scure, acute, che parevano tagliate con la sciabola: fra un picco e l’altro gli sembrava di intravedere un lago, e di sentire anche un profumo di erbe aromatiche, sebbene ogni vegetazione fosse morta intorno. Anche del sentiero ormai non si vedeva più traccia: solo una scia di roccia senza sassi, sulla