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Conosceva tutti i meandri dell’isola, per averci egli stesso costruito ponti, argini, proseguimenti di strade abbandonate per le difficoltà del luogo: quindi si diresse a cavallo, solo, senza chieder nulla a nessuno, scegliendo la strada che gli sembrava più breve, verso la casa della miniera abbandonata.

Era maggio; un maggio però malaticcio, freddo, più triste del nudo orgoglioso gennaio: caduti i fiori dagli alberi, questi si erano coperti come di un folto vello verde per ripararsi dagli scrosci intermittenti di pioggia e di grandine, e dal vento traditore.

Dopo le vigne e i poderi, verso la marina, la terra incolta, con le sue chine pietrose vigilate solo da grandi querce, pareva ribellarsi ai capricci della stagione: fra una roccia e l’altra le eriche ridevano al vento, e i primi fiori della ginestra si accendevano meglio ai suoi soffi. E adesso il respiro dello scirocco fresco, che saliva dal mare, dava anche al viaggiatore un senso di piacere. Nel sollevare gli occhi al cielo, per la prima volta dopo molto tempo, e nel vedere le nuvole farsi color carne, e sbranarsi diradandosi, egli pensò alla Strage degli Innocenti. Sì, adesso, ritrovava ancora qualche immagine bella in fondo alla sua fantasia, come qualche moneta dimenticata in un cassetto svaligiato dai ladri.

Più saliva e la montagna diventava brulla,