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sogno di uscire di nuovo dalla sua sfolgorante solitudine, la pungeva come uno stimolo sensuale. Sentiva anzitutto il bisogno di descrivere appunto le cose bellissime che la circondavano, e sulle quali apriva gli occhi quasi la prima volta; poi il paesaggio. Lo aveva davanti, come un quadro, bruno e verde, striato di neve, con uno sfondo di cielo tumultuoso di nuvole azzurre e gialle, dove già la primavera scacciava le foschìe invernali. Numerosi uccelli, poiché il vento del mattino si era calmato, si lanciavano come frecce d’argento da un albero all’altro del parco; e al miagolìo esasperato dei gatti in amore s’incrociava il gracchiare delle cornacchie, pure esse innamorate, su nelle torri del castello.

E poi? Che avrebbe detto? Che era sazia e stanca della vita condotta in quegli ultimi anni, specialmente in quell’ultimo inverno, e che tuttavia la rimpiangeva, poiché nel vortice iridescente, almeno, ella usciva di sé stessa, come in qualsiasi altra ebbrezza, e dimenticava questo sterile tormento che anche adesso la divorava. In fondo ella sapeva bene quello che voleva; era sempre l’antico istinto che non si spegneva mai, che mai si sarebbe spento se non dopo soddisfatto il bisogno di amore.

Più di un uomo aveva, anche di recente, tentato di prenderla nella rete di un reciproco desiderio; ma ella ne sentiva l’inganno, e sfuggiva all’agguato, per una naturale freddezza sensuale,