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La principessa stava davanti al suo tavolino da lavoro, come quella lontana mattina di maggio, quando ella si divertiva a fabbricare fiori di carta. Nulla era mutato nella sua figura: anzi aveva forse un’apparenza ancor più giovanile, nelle gracili spalle nude, nelle braccia adolescenti, nude pur esse fino alle ascelle pulite, nelle mani lisce le cui unghie parevano di perla rosa.

E ancora fogli di carta davanti a lei, ma fogli bianchi, sui quali il calamaio di cristallo proiettava la sua ombra azzurrognola. La principessa desiderava, anzi sentiva un bisogno quasi fisico, di scrivere una lettera: non una delle solite lettere ch’ella avrebbe potuto indirizzare ad una delle sue innumerevoli conoscenze, ma una vera lettera, fatta del tormento che le sbatteva il cuore. E tormento non di pena soltanto, ma anche di gioia, di elevazione, quasi di felicità. Poiché le pareva di essersi ancora una volta salvata dal turbine delle sue vuote passioni, col rifugiarsi nel castello, decisa a non muoversene più. Lo stesso desiderio di confidarsi adesso con un’anima lontana, era una smentita a questa sua buona intenzione; ed ella era troppo intelligente per non accorgersene; eppure il bi-