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sentiva di non dover dare spiegazioni alla sua serva; e più che mai il contatto fisico con lei le destava ripugnanza: eppure un senso di sollievo, quasi di elevazione, le alleggeriva l’anima.
Le pareva di essere piccola piccola, di aver perduto, nell’abisso informe dove era scesa e poi risalita, le ossa e la carne. Le mani, che adesso Annarosa le aveva prudentemente messo fuori delle lenzuola, erano come due foglie d’autunno, attaccate solo per miracolo al ramo.
Vagamente pensava:
— Era quella, la morte? Un vuoto... un vuoto... il nulla.
Meglio dunque la vita, con tutte le sue cose ingombranti e le sue cose lievi: meglio questa debolezza dolce che la rifaceva bambina.
— Crescerò di nuovo, a poco a poco; crescerò, sarò forte; giocherò col cane, andrò a cavallo, andrò in dirigibile. Ah, e il bambino, che fa?
Adesso le pareva di essere lei, il bambino: era stata lei, a nascere; e si meravigliava di aver tentato di morire.
— Perché? Perché?
Con uno sforzo riuscì a ricordare tutto; ma senza più sentire la disperazione e la ripugnanza che l’avevano spinta all’atto sinistro: come se col suo sangue se ne fossero andate le cose impure che lo infestavano. E il marito, adesso che ella era sicura di poter dominare, di sfuggire fisicamente, le appariva sotto un aspetto diverso,