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che, almeno, si era data per amore, e il suo patire era ancora un patire di passione umana; mentre la principessa si era venduta e non voleva bene che a sé stessa.
Quella sera Annarosa non aveva bevuto, e si proponeva di non farlo più: ma sentiva una tristezza infinita, e in fondo anche una specie di rancore contro la padrona, per la quale era costretta a vegliare, a ricordare le sue vicende. Eppure, di tanto in tanto, strisce luminose attraversavano lo sfondo cupo dei suoi pensieri. Ricordava il suo bambino nato morto; non glielo avevano lasciato vedere, ma lei ci pensava sempre, come fosse vivo; lo vedeva crescere, e a volte le sembrava di aspettarlo ancora.
Ed ecco, adesso, nel mistero di quella notte, mentre stava accovacciata per terra, sulla soglia della camera della padrona, le ritornava più acuto quel senso di attesa, come se il bambino che doveva nascere fosse il suo.
E finalmente l’uscio si schiuse, quasi da sé: poi nel vano apparve la figura della nonna, tutta bianca, quella notte, di una trasparenza di fantasma.
— Signora Lidia?
La levatrice si snodò, agile e pronta.
Anche Annarosa balzò, gelosa di non essere stata chiamata lei, e di non essere ammessa nel sacrario. Ma si attaccò all’uscio, quasi con disperazione. Tutto là dentro procedeva in silenzio,