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chi era, come era, quello che sembrava. Tuttavia, quasi istintivamente, disse:
— Ho letto ieri di una commedia che è stata data a Milano. La protagonista è una ricca signora cieca che vorrebbe adottare una ragazza: la desidera naturalmente bella, sana, buona; e come tale ne ha una, dirò così, sottomano. La fanciulla le si affeziona: è disinteressata, e rimarrebbe con lei anche senza essere adottata; ma una concorrente maligna insinua nell’animo della vecchia signora i più crudeli sospetti; fra l’altro, che la preferita non è poi tanto giovane, che non è bella, non è sana. Basta questo per far cadere in disgrazia la buona creatura, che se ne accora, e spontaneamente lascia la casa dove credeva che bastasse la sola fiamma del suo spirito a rivelare la sua vera essenza. Il pubblico, animale che altro non è, ha fischiato la commedia.
Il Dottore intendeva; sordamente, ma intendeva: e la sua ostilità, anziché assopirsi, si esasperava.
— Il pubblico, sì, è anch’esso un animale, e quindi giudica di istinto. Ha fischiato perché la commedia è inumana, cioè sono inumani i suoi personaggi. Nella vita non succede così.
— Lo dice lei. Siamo sempre lì: l’inverosimile è quasi sempre il più reale. E, per me, in quella commedia c’è tutta l’umanità. L’umanità che vuole l’apparenza e, credendosi cieca più di quanto