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Neppure col sopraggiungere dell’inverno, i principi Monteverde scesero in città.
Alys era incinta: doveva partorire in febbraio, e, a conti fatti, la nonna calcolava il miracolo avvenuto quella notte di maggio, quando ella si era placata chiedendo per sé e per la nipote l’aiuto di Dio.
Adesso la principessa era calma, sebbene di una calma pesante, con un fondo di paura, e forse anche di speranza nella morte.
La sera in cui si aspettava l’avvenimento, fra un dolorino e l’altro ella si confessava con la nonna.
— Ti assicuro, se mi accorgo di dover morire non ne proverò dolore alcuno. E dicono, poi, che la morte in parto non fa soffrire.
— Ma va, sciocchina. Camperai, e farai altri undici figli.
— Ah, questo poi no, ti giuro. Uno e basta. A Sandro gliel’ho già detto: e non voglio più avere rapporti con lui: altrimenti davvero che commetterò qualche grossa sciocchezza. Lui lo sa, e pare rassegnato. Si contenterà di un solo erede. Speriamo sia maschio.
— Speriamo.
C’era un accento di melanconica accondiscen-