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l’abitava, coraggiosamente scacciando intorno a sé i fantasmi del passato e vincendo la paura dei ladri, il bisogno di compagnia e gli stessi suoi pensieri di tristezza.

Non visitava le stanze un giorno abitate dai suoi cari, se non ogni tanto per ripulirle: la sua vita si concentrava tutta nella stanza da letto, e giù nella cucina. Scese dunque la scala di lavagna, dieci, poi altri dieci gradini, senza appoggiarsi alla ringhiera di legno: fu nel piccolo ingresso, poi nella cucina.

Lì si stava meglio che nei saloni della principessa Alys: e Alys, per quanto la nonna non volesse crederci, era lì ancora, coi suoi capelli corti, il viso che pareva incipriato di polvere rosa, le mani con le unghie nere; era lì, tutta trillante di riso, di furberia, di gioia. Aveva ancora undici anni, e mentre la nonna era andata a fare la spesa, preparava in una padellina di rame, cimelio prezioso dei suoi arnesi infantili, una pappa di farina di castagna.

— Che buon odore — dice, rientrando, la nonna già sdentata. — Ma che cosa mi combini con quei fornelli? Li hai tutti impataccati.

— Nonnina, nonnina, è la pappa per te.

Invece se l’era mangiata lei.

Via, via, caro fantasma, vattene. Adesso la pappa se la prepara da sé, la nonna. Semplice pappa di latte e pane, o di riso e burro. Anche l’erba, che fa bene ai vecchi, e li ravvicina alla terra,