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giorno, con un notaio che autentichi la nostra firma: cosa che, amaramente pensiamo, non sarebbe avvenuta nella polverosa e chiara Banca Agricola dove l’estate scorsa si andava a fare le nostre operazioni, e dove i coloni, i salinari, i sensali di pesce, ed anche i grossi fattori di grandi poderi, si scostavano rispettosamente dallo sportello, per farci posto, pronti tutti a garantire la nostra personalità.

Con questo primo sbollire del nostro entusiasmo per la vita cittadina, si esce dal tempio; e il viaggio di ritorno è quindi alquanto mortificato, non per la mancata riscossione, ma per l’accertamento che lustri e lustri di lavoro intellettuale contano meno che zero nel cuore di un impiegato di Banca. Si sente davvero, ancora una volta, quanto il mondo di noi poveri e orgogliosi lavoratori della penna è lontano dal mondo degli altri; eppure, dopo un momento, questo mondo ridiventa ancora nostro, ci riafferra nella sua ruota, ci trasporta nel suo movimento. Abbiamo in tasca ancora un po’ di quattrini per poter entrare in una fabbrica di maglierie di lana, dove la commessa, bionda e opulenta come una vigna di ottobre, ci consola, riconoscendoci per suoi clienti, e con gentilezza ci domanda notizie della nostra salute; non solo, ma ci fa sapere che quest’anno c’è una forte vendita d’indumenti di lana, anche per signore e signori giovani, poiché il troppo strapazzo