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ai veicoli, è selciato di fresco, e ci si può camminare come si vuole: tratto di strada in questo momento sontuosamente provinciale, e che anzi, a farlo senza osservare le debite proporzioni dei palazzi, delle vetrine e delle insegne, ci ricorda il Corso della città natìa nelle perlate mattine domenicali, quando lo si attraversava per andare alla messa cantata. Poca gente lo percorre, senza fretta, anzi indugiandosi in questa cuccagna di pedoni non minacciati di massacro: sono coppie forestiere, stagionate, lui in corretto costume da mattina, lei con la mantellina di percalle e il cappello in cima alla testa di giraffa curiosa: o pacifici pensionati nostrani, arzilli ancora per le recenti cure termali; e scolaretti che portano la borsa dei libri con atteggiamento equivoco, come lo zaino i soldati disertori; signore eleganti che hanno lasciato a casa la cuoca e girano per i negozi in cerca delle loro cianfrusaglie: e infine gente che va alla Banca. Alla Banca ci si entra in silenzio, come in chiesa; e delle chiese essa ha la scalinata d’ingresso, le vetrate, le colonne, le nicchie; l’usciere in tenuta nera può rappresentare il sagrestano; e, per la gente moderna, il rito che gl’impiegati compiono dietro gli sportelli non è meno sacro di quelli religiosi: sopratutto in quello dei pagamenti; i biglietti da mille vengono ricevuti come ostie consacrate, e chi li riceve se ne va poi compunto, abbottonato