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casa degli annegati, dove le donne e i bambini si ostinavano ad aspettarne il ritorno.

I nostri fiori furono buttati via, poiché pareva avessero una tinta di scherno; buttati in una buca in riva al mare; ma mentre i gerani si scioglievano in gocce di sangue, le tuberose continuarono a profumare anche la loro tomba. E nella nostra casa, le pareti già sane e fresche di gioventù, si coprirono di macchie d’umido, sinistre come quelle dei malati d’infezione al sangue.

Furono sette giorni d’incubo. Il vento di tramontana parve alzarsi in offesa allo scirocco, per respingerlo ed aiutare i pietosi che cercavano gli annegati: infranse le nuvole, mandò verso oriente le onde crudeli: di notte si sentiva il motore dei sommergibili che aravano le profondità marine e non lasciava in pace l’anima nostra neppure nel sonno. Nel porto le barche da pesca rimasero ferme, legate al molo come prigioniere: non una andò in mare finché i morti continuavano a navigare coi pesci. Al settimo giorno finalmente, la terribile pesca ebbe il suo esito: gli annegati furono rinvenuti. Quando il guardiano della spiaggia ci portò la notizia, i suoi occhi di delfino brillavano di gioia. E alla mia domanda se i corpi degli sventurati erano ancóra intatti, egli rispose:

— Sì, solo qualche morsicatura. Capirà, i pesci....