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i vetri delle finestre, nascondendo la tristezza del tempo; e in mezzo alla sala terrena, che una volta fu una gloriosa pizzicheria, appare un fantasma, rifulgente e triste come un arcangelo addolorato: è Garibaldi, che in fuga verso il lido di Ravenna, con i suoi ultimi seguaci e Anita già toccata dall’alito della morte, si rifornisce per essi di pane e di altri viveri.
Ma ecco che adesso la sera si addensa, e i vapori dell’orizzonte si mettono in viaggio su per il cielo. Il mare scopre il suo viso, calmo, ma di una calma funerea: e non si dà l’aria di esser lui a mandar su tutti quei globi di lana grigia che a poco a poco danno al cielo un miserevole aspetto di materasso sfatto. Un momento, e il cielo sdegnosamente, si scrolla di tutta quella robaccia: ma subito dopo è invaso da torme di bestie fantastiche: elefanti e tigri, balene e pescicani s’inseguono e si divorano a vicenda: il loro sangue lascia tracce visibili sui margini del cielo; vaghi bagliori di fuoco, vene di azzurro, macchie di mosto e persino civettuoli scampoli di crespo rosa, accompagnano la nuova invasione di nuvole più miti; ad occidente il sole, prima di tramontare, dà un fulmineo sguardo alla terra, come per assicurarsi che il padrone di ogni cosa è pur sempre lui: e tutto gli sorride, anche il mare già ricoperto della sua corazza infernale di tempesta: attimo di tregua, dopo il quale s’alza la voce terribile del vento.