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cendere il fuoco, una manciata di foglie secche rastrellate sotto la pineta, della quale, con la fiamma, sprigionano ancora l’aroma e il chiarore dei tramonti estivi. Panfilio sarà beato di servirci, poiché il suo cuore è impastato di generosità; ed è ben lui, povero, che spesso dona ai suoi ricchi vicini i frutti del suo orto, l’uva, il primo vino nuovo dolce e innocente come la granatina: e infine la pieda calda, la focaccia di Romagna che ha il sapore inconfondibile del frumento italiano. Pensando a questo vecchio lavoratore della terra, che vive veramente del suo sudore, che ha una cucina, casa assieme e fortificazione, come nei felici tempi preistorici, che ha il giaciglio accanto al camino e la lampada sopra l’arca colma di farina, in questi giorni di freddo, e talvolta, per la lontananza del paese e la poca puntualità dei fornitori di viveri, anche di carestia, si prova un vago senso d’invidia o, almeno, di ammirazione.
Ma non bisogna insistere su questo tasto, per non destare, a nostra volta, sorrisi di compatimento: volgiamo invece il pensiero ad un’altra casa, non molto distante dalla nostra, e bella anch’essa e ricca, sebbene non circondata di vigne e di poderi; la casa del poeta Marino, dove forse a quest’ora, nelle stanze leggiadre di mobili antichi e di guizzanti quadri moderni, si raccolgono amici letterati e donne intelligenti: il calore delle discussioni d’arte appanna