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midabile e utile di tutti, l’uomo che coi suoi indizî sonnambolici, aiutava a ritrovare i ladri e gli assassini.
Lo scongiuro che mi era stato insegnato in segreto e sotto giuramento di non trasmetterlo a nessuno, consisteva in una catena di atroci imprecazioni, sacrilegamente mescolate a preghiere alla Vergine e ai serafini. Provo a ripeterlo, ma non mi riesce: il tempo lo ha cancellato dalla mia memoria. Allora mi viene in mente di sostituirlo col sesto senso: con la volontà ferma di vincere quella dell’incantatore.
*
Chiusi gli occhi e pensai a lui: e mi parve di vederlo, come lo descrivevano i suoi soggetti, piccolo, diabolico, con un frac verdognolo, gli occhi belli e lucidi come quelli della civetta, il viso scarnificato dall’alcool e dall’incipiente follìa.
— Cavaliere, — gli dico, — mi fa il santo piacere di lasciarmi in pace? No? Badi che anch’io avrei la forza di augurarle un male, ma un male grande.
Gli occhi di civetta mi fissavano, lusinghieri, equivoci e veramente affascinanti: io sostenevo il loro sguardo coi miei occhi chiusi, e sentivo come una fiamma sollevarmi i capelli e avvilupparli con sé in una sola torcia.