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riosa e nuova, che grava sul mio essere come una minaccia di morte.
Impossibile. La penna è lì, la cartella è qui, come uno specchio appannato che non dovrà più riflettere la luce dei miei occhi: la mano sinistra si allunga a toccarle, quasi per assicurarsi che esistono, ma la destra non si stacca dalla guancia, e tutta la testa vi si appoggia con desolazione.
Intanto osservavo che, da quando era cominciata la mia strana malattia, nessuno più mi parlava dell’ipnotizzatore. Era passato di moda, o si riposava? Io non domandavo di lui, anche perché mi pareva che gli altri, a loro volta, mi osservassero o conoscessero il mio tragico e ridicolo segreto.
Durò otto giorni, la curiosa faccenda: all’ottavo giorno, prima di mettermi a sedere davanti al fatale scrittoio, mi ricordai di aver imparato, molti anni prima, ai tempi del contadino fatturato, uno scongiuro potentissimo contro i disastri del genere. Perché anche allora esistevano, e come!, i fenomeni del sesto senso: la volontà forte che s’impone alla volontà debole; la donna invidiosa che toccò i miei lunghi capelli, e questi in pochi giorni mi caddero; il vecchione che, con parole magiche, impose alle volpi di non penetrare oltre nella vigna; il sacerdote che scacciò i demoni dalla fanciulla isterica; e, infine, più for-