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Nella mia penna sdraiata sul verde melanconico del tappeto mi pareva di rivedere il contadino buttato sull’erba del campo della vedova, avvilito e vinto. A che gli servivano le ricchezze, la gioventù, la sua stessa forza, la sua volontà di vita?
A che servivano più, alla mia penna, la mia voglia di scrivere, il mio bisogno di rivivere, sia pure con umiltà, sulla cartella pallida anch’essa per la sua vana attesa? La mano non si muove, non si muoverà mai più per scrivere.
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E va bene per il primo giorno: ma il secondo, il terzo? Il caldo diminuisce, le mosche vengono massacrate da un potente specifico: la nevralgia guarita da uno specifico più potente ancora. Quelli che non hanno più potenza sono il mio bisogno e la mia volontà di lavorare. Lavorare! Non lasciar cadere il giorno come un seme sterile: lavorare, sia pure modestamente, sia pure solo per esprimere quest’ambascia miste-