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nato col sughero; ma non immaginavo che se ne potessero trarre mobili ed anche quadri. Infatti, scolpito pur esso nel sughero, un quadro in bassorilievo, che pareva di terracotta, attrasse la mia attenzione: rappresentava una scena di caccia.

Intanto Mossiù Però, aperto un secondo uscio della stanzetta, si era ritirato per scrivere la risposta. Sparito lui, svanita la paura del pericolo, ci si guardò tutte in viso, incerte se ridere o no. Era questo l’orco, il negromante, l’uomo dalla camera misteriosa? E dov’era questa camera misteriosa? Un pensiero ardito e fulmineo mi fece balzare nel corridoio, per guardare dal buco della serratura degli usci chiusi. E in uno intravidi un letto: nell’altro nulla, perché c’era la chiave dentro: nel terzo...

Non ho mai dimenticato il senso di terrore che m’irrigidì come il nibbio imbalsamato quando il terzo uscio si aprì e, leccando il lembo della busta destinata a mio padre, vi ricomparve il cacciatore. Nel vedermi d’improvviso davanti a lui, parve dapprima contrariato; poi un sogghigno gli sollevò il baffo sinistro e i suoi occhi rassomigliarono a quelli del gatto che afferra il topolino. Mi afferrò, infatti, e mi tirò dentro la stanza misteriosa. Lo spavento m’impediva di gridare: anche lui non parlava, ma agitava la lettera, di qua, di là, come per indicarmi meglio gli oggetti intorno. E il mio terrore si sciolse subito,