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— Io non ho padroni: la padrona sono io, in casa mia.
— Bel palazzo, la vostra casa.
La vecchia afferrò il gatto, come volesse gettarlo addosso alla ragazza: ma la bestia aprì due occhi azzurri stupiti e innocenti, sbadigliò e tornò ad accovacciarsele in grembo. Per far cessare la questione, noi trascinammo via la serva, girando attorno alla casa. Ecco la porta principale d’ingresso: è socchiusa e lascia vedere una scaletta ripida che pare scolpita nella viva roccia: in alto c’è buio; quindi, prima di avventurarci nell’ascesa pericolosa, facciamo rintronare tutta la casa coi colpi di un grosso anello di ferro infisso alla porta.
Risponde un cane dall’attiguo recinto, ma il suo è un semplice latrato, giovane, chiaro, quasi benevolo. In pari tempo il cacciatore si affacciò ad un finestrino che pareva una feritoia: il suo viso volpino, di pelo tutto rosso, quasi arancione, lo conoscevo già; ma non mi fece più paura perché per la prima volta avevo l’occasione di conoscere anche i suoi occhi: grandi, stupiti, azzurri e innocenti come quelli del gattino disturbato in grembo alla vecchia.
Forse anche Mossiù Però dormiva, nella sua pietrosa solitudine, in quel silenzio meridiano che l’abbaiare del cane rendeva più sensibile; forse lo abbiamo disturbato mentre nella camera misteriosa era intento a qualche opera di magìa.