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Di tanto in tanto mio padre imbastiva certe speculazioni che, mezzo poeta com’egli era, naturalmente gli riuscivano sempre male. L’ultima era stata una piantagione di aranci e limoni; solo il muro del recinto, poiché bisognava salvare solidamente l’aureo prodotto, era costato migliaia di lire. Le pianticelle già ben sviluppate, venute dal loro paese natìo, furono collocate in bell’ordine nelle buche profonde foderate di concime; un uomo rimase a guardarle; un altro calò di peso, a furia di andar su e giù in cerca d’acqua per innaffiarle: il tempo passò, e delle piante non si sentì che il profumo delle foglie; poi anche queste si ammalarono, di tisi e di rogna, e solo un arancio, dopo qualche anno, diede due frutti che, fra i rami ormai neri e nudi, parvero due brage in un focolare di sterpi spenti.
Adesso era la volta del sommacco. Ancora non so bene di che si trattasse, e cerco la spiegazione della parola. Sommacco, pianta della fa-