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colpevole di gravi reati. Era infatti una solenne stroncatura alle cose da me pubblicate: e la bella giornata si mutò per me in quella dei morti.
Si disse che la critica feroce era opera di una donna: ma io avevo l’impressione che fosse stata scritta da un uomo; un uomo che viveva una sua strana vita solitaria, di studioso e di poeta, del quale tutti però conoscevano ed apprezzavano l’ingegno. E il dubbio mi avviliva tanto, che smisi di scrivere. Un giorno, invece, bello e memorabile anche questo, ricevo un sonetto dello stesso poeta, che forse aveva voluto rendere un atto di giustizia alla povera maltrattata Grazietta. Eccolo qui, scolpito sulla lapide della memoria:
Tu, dell’ingegno figlia benedetta,
non sogni lo svanir de le viole,
ma forte e ardente come la vendetta,
hai l’impeto de l’odio e le parole.
Su, in alto, ov’è la palma che t’aspetta,
su ne l’immenso azzurro che ti vuole,
vola — e selvaggia libera aquiletta,
ti sublima oltre i monti, e affisa il sole.
Noi seguiamo i tuoi voli; in alto, in alto,
in alto l’ali tue sbatti e dilata,
da’ al cielo ed alle folgori l’assalto.
Vola, aquiletta, vola, finché amore
non ti richiami al nido ove sei nata,
e l’ardor de la mente avrai nel core.