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fredda commiserazione: e non gli fui né grata né amica neppure quando un giorno, dopo aver letto un mio componimento, egli batté sul foglietto il dito bianco e scarno, dicendo come a sé stesso:
— Questo si potrebbe anche pubblicare.
Freddezza esteriore, però, da parte della scolara: dentro un subbuglio di orgoglio, di ambizione, di sogni.
Un bel giorno, cioè una notte, il professore sparì senza più far ritorno. Aveva da pagare alcuni debiti, fra i quali il fitto della camera: in questa però, onestamente, lasciò i suoi libri. E su questi libri, un po’ per volta emigrati in casa mia, io continuai da sola ad inoltrarmi nella meravigliosa selva fiorita dell’arte poetica.
— Tu non crescerai mai, e mai sarai buona a niente, perché leggi troppo; — mi dicevano in casa; ed io leggevo e scrivevo di nascosto. Di nascosto mandai una prima novella ad un giornale di Roma.
La novella viene immediatamente pubblicata, non solo, ma la Direzione me ne chiede subito un’altra. Mi pareva un sogno: e il mio nome stampato, per la prima volta, mi dava come un senso di allucinazione. Lo fissavo a lungo: le lettere s’ingrandivano, nere, vive, allarmanti. Ero io, quella? No, non ero io, la piccola, la segreta, la quasi misteriosa scrittrice: eppure quel nome era l’eco del mio, che rispondeva da una