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trati personaggi importanti nella vita; nessuno che facesse tremare le vene come l’Ispettore delle nostre scuole d’allora. La maestra, invece, era mite ed indulgente: non eccessivamente colta, invero, se parlando di Silvio Pellico ci additava con la bacchetta, come luogo di prigionia del martire, le isole Spitsberghe.

Finita di ripetere la quarta elementare, finiti i miei studi; e forse anche la carriera di scrittrice. Ma ecco in ottobre arriva un nuovo professore d’italiano, del Regio Ginnasio: arriva con un baule di libri, e va ad abitare in casa di mia zia Paulina, di rimpetto a casa nostra.

Questa zia Paulina era una donna intelligentissima. Piccola e grassa, col bruno viso camitico, sedeva sempre a filare, sotto il fico del suo cortile, e parlava come un filosofo stoico. Il suo stesso avvocato andava a trovarla, apposta per sentirla discorrere: anche il professore nuovo si fermava a conferire con lei. Così si fece amicizia: e mio padre, che aveva anche lui studiato quella che ai suoi tempi si chiamava rettorica, pensò di mandarmi a prendere qualche lezione d’italiano presso il benevolo professore. Benevolo egli era e gentile, e gli piaceva risiedere nella nostra salubre città per il vino generoso della vicina Oliena: quando leggeva i poeti del tempo piangeva come se le loro passioni fossero le sue. Eppure egli non mi inspirava la soggezione del signor Ispettore: anzi una certa