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coni del palazzo di Don Antonio, o davanti a qualche piccola vetrina, o nella cartoleria a comprare un pennino e un quaderno (cinque centesimi in blocco); si dava una sbirciatina altrettanto rapida quanto assorbente ai clienti del Caffè; poi, lasciato il cuore della città, giù nei quartieri popolari prima di arrivare alla scuola, si trovava il modo di comprare le castagne o le ciliegie a seconda della stagione; e finalmente, sul margine della strada ancora campestre del Convento si coglieva un fiorellino e si dava uno sguardo amoroso alla valle che declinava giù lenta, tinta del verde degli orti e delle vigne, del glauco degli olivi e sopratutto del colore del mistero. Il mistero della vita, che si apriva con l’aprirsi dei fiori dei mandorli, con lo spalancarsi del cielo invernale sopra i monti dell’orizzonte.

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A scuola, a parte la modestia, la prima ero sempre io, forse per i miei cómpiti fantasiosi; quando veniva il signor Ispettore, l’interrogata era invariabilmente Deledda Grazia; onore che non mi lusingava, perché avevo una terribile soggezione dell’egregio superiore. Era un uomo tarchiato, con una testa di leone nero: tragico e colto come un gesuita. Ne abbiamo incon-