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e verde e giallo-oro, tramandati forse dalle ricamatrici di Babilonia: e dentro i cestini ogni ben di Dio. Ecco, perché, per il viaggio a Cervia, la tua previdente nonna, o maliziosa e deliziosa Grace, aveva preparato il cestino con le provviste: non per avarizia, ma per quella forza dell’abitudine atavica che vince ogni altra potenza umana.
Mai compagni di viaggio furono più amabili e cari dei nostri: oltre zio Andrea, che aveva gli occhi del colore del solfato di rame, per cui tutte le donne brune della contrada lo adoravano, c’era il suo inseparabile amico Antonio, pallido e fibroso come un nerbo di bue; e, fra gli altri, il carpentiere ziu Conchedda, dalla bella testa di sacerdote pagano, che faceva, oltre i carri, le più misteriose stregonerie; ma era allegro, e la sua voce tenorile incantava, più che le sue fatture, le clienti che ricorrevano a lui per le loro beghe amorose.
Prima tappa fu una cantoniera, per il cambio dei cavalli. Sperduta nella solitudine dei pascoli, ombrati qua e là dalle distese violette del puleggio in fiore, questa piccola casa biancastra, che qualche rovina di nuraghe guardava con disprezzo, a noi invece apparve come il palazzo delle fate; poiché intorno vi sbocciava, con le rose canine, una ghirlanda di bellissimi marmocchi, e la loro mamma, la moglie del cantoniere, vendeva, per pochi centesimi, ai viag-