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ma sorge isolata e tutta rifulgente di vetrate, come una chiesa, in mezzo a un prato coperto di neve. Gli alberi, intorno, sono neri e bianchi, cornuti come fantasmi di cervi favolosi: e alcuni hanno anche gli occhi, vuoti eppure luminosi, che di notte farebbero paura.
Arrivano, di qua, di là, altri ragazzini, col naso sgocciolante, le mani gonfie di geloni, le scarpe che pare abbiano battuto tutte le strade del mondo: ma quello che sorprende Giovannino è l’accorgersi che anche i suoi fratelli spuntano in fondo alla grande spianata, quasi vogliano ritornare a scuola. Giolì, uno spilungone col viso di mela rosa, s’è messo il tabarro e il berretto del padre, il che gli dà un’aria distinta di galantuomo, mentre l’altro ha indosso un sacco, e pare il servo del fratello maggiore.
Dove vanno? Giovannino si ferma un momento ad aspettarli, poi pensa che forse è meglio il contrario, e fingere anzi di non vederli. Infila quindi la porta della scuola, entra in classe e trova il modo di spiare dalla vetrata: e vede i fratelli aggirarsi intorno all’edificio scolastico, all’annessa abitazione del maestro, al muro dell’orto, come direttori didattici in ispezione.