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dare neppure a cogliere radicchio; e in casa, tutto, davvero, fino all’ultima cotica del lardo, era stato rosicchiato dalla malattia del padre e dai loro diamantini denti di giovani lupi.

Il solo a non preoccuparsi troppo era Giovannino, il più piccolo; anzitutto perché il suo maestro di scuola, che la natura aveva tagliato sul modello disusato di qualche antico apostolo, insegnava che la Provvidenza non manca mai: e poi perché questo riverito signor maestro, oltre al distribuire ai suoi alunni poveri il pane della scienza, faceva loro servire, tutti i giorni d’inverno, una scodella di minestra calda.

*

Giovannino, dunque, va a scuola, con gli occhi freschi come nocciuole nuove, il naso di garofano rugiadoso di moccio.

La giornata è bella: sopra i cappucci di feltro bianco dei monti lontani brilla un grande sole i cui raggi un po’ mordono, un po’ sorridono, allegri e felini come gli occhi del gatto del maestro. Questa è l’impressione di Giovannino, forse perché egli ricorda le parole della nonna: il sole d’inverno ha i denti: e si sente allegro e cattivo anche lui, pensando alle parole della mamma, al viso di morto del padre, ai fratelli grandi buoni a niente. La scuola non è lontana,