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da vecchi stivaloni; e, come l’uccellaccio, saltellava sui sassi della strada. Arrivato alla porta del Rinoceronte, si fermò; mandò indietro sulle spalle le ali della sua cappa e da una borsa trasse una carta dura, scritta fitta fitta.

L’uomo, sull’altana, capì d’istinto che si trattava d’una cattiva notizia, ed ebbe voglia di sputare sul messo malefico e sulle sue ambasciate.

— È una carta bollata, maledetta sia ogni sua parola scritta — pensò, scendendo ad aprire.

Nel vederselo davanti all’improvviso, il corvo trasalì: poi, nel porgergli il foglio, tentò di spiegargli amichevolmente di che si trattava: e pareva volesse scagionarsi del malanno che, come un appestato, involontariamente portava.

— È la sua signora cognata, che lo cita, per aver la parte della casa: l’ala destra, solo l’ala destra: gliene rimane, del posto, a lei, che è solo.

E guardava la casa, a destra, a sinistra, misurandola con gli occhi miti, con la buona intenzione, in fondo, di confortare il Rinoceronte: il quale, però, non aveva bisogno di conforti. Gridò infuriato:

— La casa è tutta mia, e quella vecchia bastarda non ha aspettato neppure che il cadavere del mio povero fratello si raffreddasse, per gettarsi su di me. E va bene. Ala destra o ala sinistra è lo stesso: posso cederla anche tutta, pur di non avere certi contatti. C’è di là la