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duri delle ghiandaie dalle cime della rupe, se la voce del fiume lo permetteva: poiché, a giorni, dopo solo qualche ora di pioggia, il fiume si gonfiava infuriato, mugolando come un demonio: allora ogni altro rumore taceva, e il Rinoceronte si affacciava sull’altana di legno sopra la porta della sua casa.

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S’affacciava all’altana nei giorni brutti, quando cioè era sicuro che gente non vi passasse sotto. Sapeva che tutti, anche i grotteschi carbonai che scendevano dai monti, e le umili lavandaie, e sopratutto gli sbilenchi monelli che sguazzavano di qua e di là del fiume, facendo concorrenza alle trote e alle cornacchie, lo chiamavano con quel nome, senza saperne bene il significato, per la sua persona tozza, per i grandi piedi gonfi della podagra, per la sua vista corta, e infine per la sua selvatica insensibilità ai rapporti col prossimo: o forse anche per invidia della sua orgogliosa solitudine, non turbata neppure dal battagliero contatto con la parentela.

Si affacciò dunque anche quel giorno, quando, dopo ore ed ore di pioggia diluviale, sentì l’urlo amico del fiume chiamarlo. Ed era tempo che l’acqua facesse sentire la sua voce lampeggiante. Erano mesi che non pioveva: anche le bestie