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— Che volete, — disse con la sua voce di capretta, — io non lo ricordavo: ho perduto la memoria; e poi la testina me l’ha data la signora del villino qui accanto; e se me l’ha data lei, che è buona e religiosa, che dà le croste di formaggio ai gatti randagi, e le briciole agli uccellini, e mette al sole i suoi pesciolini rossi perché, dentro il loro vaso azzurro, credano di essere ancora nel Fiume Azzurro della Cina, vuol dire che anche oggi potevo mangiarla.
— Quante chiacchiere per farsi assolvere; dica piuttosto che è una golosa ipocrita — ribatté il sor Pippo, l’altro vicino di tavola, il nero pittore di pareti, che rassomigliava a Nerone, prode come questi nel bastonare la moglie e quanti gli capitavano sotto.
La signora, anzi signorina, Mercedes non replicò: aveva paura: ma il sor Tasso, che già qualche volta aveva sentito il sapore delle botte del sor Pippo, la difese impavidamente. Con la bocca un po’ storta dell’uomo che ha ben bene assaggiato il calice d’acqua di cicoria della vita, disse sottovoce:
— La signora Mercedes avrebbe certamente preferito sorbirsi un maritozzo con la panna, per rispettare la vigilia; e berci sopra un mezzo litro di quello dolce; ma chi glieli dà? Cristo Dio?
E sorrideva, il poeta, con gli occhi verdi di bile, eppur mansueti come quelli dell’agnello