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tavia odorose di giunchiglia, a staccare la mandibola della testina: se la portò alla bocca sdentata, e la succhiò, poiché non c’era veramente altro da fare; e poi la intinse nella mollica, e ancora la succhiò. E succhia, e mangia mollica, e bevici su un sorsetto avaro da un bicchiere di vinello rosso, servitole dal signor Giglio, ella parve dimenticarsi di tutto e di tutti. Scuoteva però la testa, con gli occhi grandi socchiusi, e con quei cenni significativi certamente ella diceva qualche cosa a sé stessa, qualche cosa di molto importante.

*

— Signora Mercedes, — le disse il sor Tasso, suo vicino di tavola, — si ricordi che oggi è la Vigilia e lei ha mangiato di grasso.

Parlava sul serio, il sor Tasso, chiamato così proprio in onore del poeta, perché anche lui era un sentimentalone tragico, sempre vanamente innamorato di fantastiche principesse: chiamato così, dai suoi antichi compagni di scuola. Adesso, di decadenza in decadenza, aveva finito col fare il guardiano di cantieri; ma l’anima la conservava la stessa, fedele a Dio, alla Patria, all’amore per il vino del signor Giglio.

La vecchia fioraia trasalì. E anche questa sembrò una commedia, ma non era.