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L’avventore nuovo attraversò, dunque, la prima sala e andò a sedersi nella seconda, come se lo usasse fare da molti anni; e si mise proprio nell’angolo accanto all’uscio del retrobottega, davanti a un piccolo tavolo che, appunto perché piccolo, rimaneva quasi sempre disponibile. Una rete di sguardi, da prima quasi sorpresi, poi curiosi, infine forzatamente noncuranti, lo chiuse subito in quell’angolo, come in una gabbia di uccello raro: poiché, in quell’ambiente allegrone e familiare, egli aveva in verità qualche cosa di estraneo, non solo, ma di esotico; col suo soprabito foderato di castoro, la bombetta un po’ a sghimbescio sui capelli radi ma bene aggiustati dal parrucchiere, il lungo viso malaticcio, e infine i guanti di camoscio e il bastone con l’immancabile testa di cane buono e brutto.
Sembrava, per lo meno, l’aristocratico membro decaduto di una famiglia ducale, o un nobile da cinematografo: e quello che sopra tutto sorprendeva, nel suo viso ovale di antico ritratto, era lo sguardo mite dei suoi occhi azzurri, a mandorla, che, per le lunghe ciglia arricciate, ricordavano non so quale fantastico fiore raggiante. Tutti credevano di averlo già veduto,