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le mani la neve: ne fece un blocco, e con gioia rivide sotto i suoi piedi la terra. Il gelo però non cessava, il blocco si scioglieva. Allora egli si ricordò di Dio.
— Dammi un segno della tua potenza, — pregò, — ed io lavorerò questa neve come il marmo per le colonne del tuo tempio.
Si svegliò subito, tutto intorpidito: albeggiava, od era il chiarore della luna che imbiancava le pietre?
Egli credette che spuntasse il giorno perché già si sentiva, lontanissimo eppure chiaro, un suono di lavoro umano: ed egli lo conosceva bene, quel suono, continuo, insistente, di cui ogni battuta risuonava lasciando dietro una vibrazione sottile e luminosa come un raggio d’argento.
Era un tagliapietre che lavorava sul macigno duro.
Dapprima Leo credette che il luogo fosse abitato: che lavoratori già desti riprendessero l’opera lasciata il giorno avanti; ma poi si accorse che il suono non vibrava né sotto né intorno a lui.
Si sollevò sul masso e si tese ad ascoltare meglio. Il suono veniva nell’aria, da monte a monte, come un filo magico musicale: e Leo ne intese la provenienza.
Era il suo compagno Marino, che arrivato in cima al Titano lavorava già al chiaro di luna: e il macigno da lui battuto rispondeva come il cristallo.