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quali usano nelle case dei contadini benestanti. Ma questa, più che un’abitazione colonica, ha l’aspetto di una villetta: forse ci abita un artista, forse una quieta famiglia borghese in villeggiatura.

È così graziosa e pacifica che tutto, sotto e sopra, ha un senso quasi di ascesi: le chine, con file di alberelli nani, salgono lente fino ai suoi piedi, e l’una gareggia con l’altra per il suo declivio dolce e vellutato, per il suo colore verde e oro, o verde argento; mentre l’estrema cima del poggio la ripara con la sua cupola scura, e due cipressi, sospesi sul cielo, sembrano fieri di essere arrivati i primi a godersela dall’alto con gioia paterna.

— Luogo di pace, sembra, — egli pensa, — e può essere invece luogo di dolore. Avidi e bestiali coloni l’abitano: le donne sono anchilosate dalla fatica, o afflitte da malattie loro speciali; i bimbi sudici, i vecchi ubbriaconi.

— Giovinotto, — risponde poi al bagnino, che è rientrato per chiedergli se sta bene, — io sto benissimo. Mi sembra, persino, di essermi trasformato in un tritone.

Il giovine ignora che cosa sia un tritone, e non osa chiederlo al filosofo, tanto rispetto questi gli inspira. Rispetto che non vien meno neppure quando egli scopre il paziente, ne raschia il fango dalle gambe stecchite, lo tira su come