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per non lamentarsi sbuffava. Quando il peso ardente gli ebbe sepolte le gambe, e il giovine gli coprì il petto velloso, da prima col sudario di un asciugamano, poi coi lembi del lenzuolo, e infine lo sopraccaricò di coperte che gli ricordavano quelle per cavalli, riprese a parlare.

— Venite di lontano e non vi occupate della gente di qui. Vi si vede dal volto. E voi partite dal punto dove io sono già arrivato. Neppure l’uomo sepolto nel fango vi interessa.

Infatti il giovine aveva preso in mano il secchio e si scusava di dover subito correre a «fare un altro fango».

— A momenti sono qui; cerchi di sudare.

Senza cercarlo, già il sudore sgorgava dalle tempie, dalle spalle, dai fianchi del paziente. Egli se ne sentiva riempire gli occhi e le orecchie, e gli pareva che colasse lungo il collo come un rivoletto che rinfresca l’aridità di una china pietrosa. E ne provava contentezza. Era la prima buona sudata che faceva dopo cominciata la cura: segno che il suo corpo esausto riprendeva vigore e ricacciava il veleno che da lungo tempo lo intossicava.

Il pensiero della casetta in cima al poggio lo riprese, come una piacevole ossessione. Chiudendo gli occhi la rivede, quale essa, del resto, appare anche dietro i vetri appannati del camerino. È tutta bianca, sotto il cappuccio rosso del tetto nuovo, con le persiane d’un solo pezzo,