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Anche lui però, d’un tratto, ritirò l’uncino e parve indeciso a proseguire nell’opera. Una saetta formidabile, simile allo scoppio d’una cannonata, faceva tremare la casa dalle fondamenta: e il fulmine doveva essere caduto sui ferri della loggia perché questa scricchiolava.

Vinta dall’istinto della curiosità e dal desiderio che il ladro fosse stato colpito, la donna si riaccostò alla portafinestra, anche per richiudere gli scurini onde opporre una maggiore resistenza nel caso che il malandrino riprendesse la sua opera.

Il malandrino era ancora lì, flagellato dalla pioggia che dopo lo scoppio della saetta veniva giù a cascate; il vento gli aveva portato via il cappello, ed al chiarore di un nuovo lampo ella riconobbe la figura alta e già robusta di Brunetto.

L’anima le si capovolse; pensò che tutto era un incubo e cercò di svegliarsi, di opporre al sogno spaventevole la realtà serena. Ricordò che quando voleva, con un supremo atto della coscienza soffocata, svegliarsi davvero da qualche sogno angoscioso, cercava di parlare. Il suono della sua voce riusciva a destarla.

— Brunetto, Brunetto, — gridò.

— Zia, zia! Oh, finalmente! Apri; la casa crolla.

Ella aprì i vetri, si sentì presa e travolta nella bufera, assieme con lui che la trascinava fuori, giù nel giardino simile ad uno stagno.