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Il passaggio però minacciava di essere, più che burrascoso, mortale.
La violenza di quel temporale, che durava già da qualche ora, la zia Margotta non ricordava di averla mai altre volte sentita. E sinistro, oltre allo stridore della pioggia e delle saette che pareva quello del mondo lacerato come una tela inutile, era quel boato misterioso portato dal vento, dapprima lontano, poi sempre più vicino. Ella lo ascoltava con un terrore fisico crescente: le sembrava che il mare, non lontano molto dal paese, si gonfiasse e invadesse la terra.
Chiuse gli occhi e vi mise su, forte, la mano fredda di sudore. Ma fu peggio: perché rivide nitide e ingrandite fino alla realtà certe fotografie di giornali illustrati che riproducevano le rovine di paesi lontani massacrati dai cicloni e dai maremoti di quella stagione infernale. Tutto il mondo era staffilato, più o meno, dall’ira di un Dio impazzito, o forse giustamente sdegnato. Adesso arrivava laggiù, anche nel paese in apparenza mansueto e sonnolento di virtù, ma dove pur gli uomini si abbandonavano alle passioni ed alle vigliaccherie peggiori.
D’un tratto il vento rombò anche da levante: si sentì come l’urto di lotta fra i due giganti