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volesse baciarla in bocca; ma ella non concedeva libertà neppure a quel suo solo vero amico.

— Giù, signorino.

Poi fu lei ad iniziare la corsa. Il giardino non era grande: formava come una terrazza, a mezzogiorno, davanti al castello; una fantastica terrazza cinta di nobili balaustrate di pietra, con statue, fontane, vasi di fiori agli angoli: la principessa percorse in un baleno il viale centrale, senza quasi toccare la sabbia, come una grande libellula: scese a precipizio la scalinata che saliva dal parco e sparve nell’ombra scintillante dei pini e delle querce: e con lei il cane.

La nonna era ancora a metà del giardino. Il suo grande viso d’avorio si coloriva al sole; gli occhi prendevano un po’ di tutto quell’azzurro e quel verde intorno. Era contenta che la nipote si fosse scossa, ma sentiva che anche in quel movimento vertiginoso c’era esasperazione e artificio; e sopratutto ansia di stordimento.

Piano scese la scalinata, si fermò dove le ombre dei pini s’incrociavano sul viale vellutato di musco. In fondo, nel muro di cinta, tutto coperto di edera, si apriva una specie di finestrone, che guardava sulle chine sottostanti: e sullo sfondo del vano celeste, come correnti per aria, ella vide passare la principessa e il cane. Avevano già percorso tutto il viale di circonvallazione del parco che cingeva la spianata sotto il castello: e i capelli di Alys e la coda di Ludovico spazzavano il cielo