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tra un poveraccio. «Eminenza, faccia la carità a questo poveretto che ha fame.» Ma Sua Eminenza tira dritto, rosso e sbuffante. Dice: «Beato te; io crepo.»

*

Di parere diverso fu il proprietario del giardino, che si concesse anche lui la gioia di mandare quasi metà del suo pasto al lavoratore povero, e anche un bicchiere di «quello buono». Poi scese ancora una volta la scaletta che dalla sala da pranzo conduceva in giardino.

Il sor Checco si era adagiato appunto nel sottoscala, con la testa all’ombra e i piedi al sole. La beatitudine più schietta gli rischiarava il viso, il piccolo viso di creta levigato e solcato dal sudore di tanti e tanti anni di fatica.

Domanda il padrone:

— Quanti anni avete?

Adesso gli occhi del povero vanno dritti verso quelli del ricco, sorridenti e fiduciosi: da pari a pari.

— Settanta.

— Settanta? E ancora abbiamo tanta forza e volontà di lavorare?

— Il poveretto, il vero poveretto, lavora fino al suo ultimo giorno.

E finalmente il sor Checco ride, contento della