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Al piano nobile la scala finiva. Dal grande vestibolo si andava giù, dolcemente, per una china serpeggiante, lucida, che ricordava non so che favolosa strada di collina. Cordoni rossi accompagnavano la balaustrata, e ad ogni svolta, nei grandi finestroni ad arco, appariva il viso della primavera, col suo cielo alto che rifletteva come un cristallo la luminosità del parco, delle vigne, dei prati sereni.

Un cane lupo, che senza il suo caldo fremito e l’ansito di gioia, sarebbe parso di bronzo, aspettava la padrona nel portico. L’aveva sentita uscire dal suo appartamento e scendere le scale; e parve farsi più alto quando ella aprì la porta. Anche lei si rallegrò tutta nel vederlo.

— Come va, Ludovico?

Il saluto umano, la lieve carezza della padrona, scaldarono il sangue del cane come quello di un innamorato: ma i suoi occhi dorati chiesero di più, sebbene umilmente.

— Su, — ella disse, — diamoci un abbraccio; poi faremo una corsettina.

Il cane mugolò di felicità: si drizzò, mise le zampe anteriori sulle spalle della padrona; la sua lingua cremisi le sfiorò il mento: pareva