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bra di un bosco, dove si era smarrito e non ritroverebbe più la via per tornare indietro. Eppure era lì, in casa sua, nella saletta che da anni ed anni, nelle sere belle e nelle sere brutte, ospitava la sua volontà, anzi la sua gioia di vivere, di sognare, di vincere la fortuna. Tranne quelle maledette lettere, poiché il cestino dei fiori languiva nell’esilio del corridoio, tutto là dentro era immutato, e immutato, per fermo proposito di lui e anche della sorella, sarebbe rimasto per sempre. Quella melanconia, quel freddo, quell’odore di antico, erano la solita atmosfera, uscendo dalla quale egli sentiva che sarebbe morto come un pesce fuori dell’acqua. Solo che...

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Solo che, adesso, l’ambiente s’era vuotato, il sogno più non esisteva: poiché quelle miserabili migliaia di lire non contavano che zero nella vita del signor Fausto. Quello che contava, — e per questo egli si era ben guardato dal confessarlo al cronista, — più che il sogno di vincere, era l’abitudine del gioco, il calcolo, il combattimento, la compagnia assidua, le combinazioni, il pensiero, infine la vita comune coi numeri.

Adesso era finita: ed egli si sentiva come